C’era una volta un generale d’artiglieria che non appena ventenne divenne tenente colonnello della Guardia Nazionale e che, per diletto, nel giro di qualche anno imperversò per le terre italiche ed europee. Diventando Imperatore a poco più di trent’anni.
Conosceva l’arte della guerra.
Sapeva che la strategia veniva molto dopo la tattica.
Per questo usò sempre l’artiglieria come leva strategica per poter permettere alla fanteria e alla cavalleria ( leve tattiche) di poter oltrepassare la linea nemica.
Un pò come nel rugby, quando i piloni, sfruttando la loro stazza, sfiammano sulla linea di fondo per sfondare la linea avversaria e, al momento giusto e solo dopo aver attirato a se’ una massa di difensori avversari, passano l’ovale all’estremo o al compagno per raggiungere l’obiettivo.
Proprio come un stallone da rugby imbevuto di grinta, quel giovanotto raggiunse una certa leadership militare, fondamentalmente per due motivi, che sono poi gli stessi che dovrebbe avere ogni capitano di azienda (azienda in senso lato):
– si era sporcato le mani. Era a conoscenza delle dinamiche di battaglia, si era calato nel fango per sentirne l’odore, sapeva, dopo tentativi ed errori, quali fossero le possibilità tattiche;
– in ragione della sua gavetta, comprese che l’obiettivo di una strategia era far sì che tutto funzionasse a livello tattico.
Due grandi del marketing, Al Ries e Jack Trout ne hanno firmato i postulati:
“mentre la strategia deriva (per forza) da un’intima comprensione della tattica, il paradosso è che una buona strategia non dipende da una tattica superlativa. L’essenza di una valida strategia è di essere capaci di vincere la guerra di marketing anche senza una vivacità a livello di tattica.”
Mi viene una nuova metafora sportiva: ve la ricordare l’ Inter di Mourinho? Grande squadra, grandi talenti ma…non si può dire che esprimessero un calcio spettacolare. Giusto? Ecco, nonostante questo, con una valida strategia ed in assenza di calcio champagne, sono riusciti comunque a portare a casa il triplete. Perché?
Perché l’azione è stata ed è la strategia.
L’efficacia nell’azione è stata nella conoscenza delle tecniche.
Poi ci sta anche il fallimento. Anzi. L’ideale sarebbe proprio quello di sbagliare ma di farlo in fretta. Quanto più velocemente possibile.
Napoleone dovette prima indietreggiare dal fronte russo e poi costretto all’esilio. Il coach portoghese non si è più ripetuto (mi dispiace, mi sta simpatico).
E le aziende? E le agenzie pubblicitarie? Le prime dovrebbero, come ricorda Al Ries, imparare di più dalle tattiche pubblicitarie, mentre le seconde dovrebbero fare più piani strategici. Ovvero sporcarsi le mani e prendersi le responsabilità.
Che tu sia azienda o agenzia o manager, la mattina quindi inizia a correre: solo la responsabilità di un’azione efficace, basata su conoscenze specifiche e profonde ed in linea con il proprio ruolo, può portare a superare le linee nemiche.
A vendere di più. Oppure ad acquistare a minor prezzo. Oppure a diventare leader di un settore. Oppure essere i primi a creare una nuova categoria. Oppure ad essere primi nella mente delle persone.
Perché vincere vuol dire questo. Vuol dire sapere che si può finire esiliati sull’isola d’Elba o terminare un campionato senza nessuna vittoria.
Vuol dire sapere che tra forma ideale e scopo finale c’è sempre una realtà, una piega, una truppa, un competitor pronto a rimettere in discussione stelle e stelline. Allora l’orientamento strategico dovrà essere sempre più di tipo analitico: la conoscenza profonda ed assoluta del cliente è tanto importante quanto la conoscenza profonda ed assoluta del mercato di riferimento.
Orientarsi al cliente e al prodotto ha un senso nella misura in cui all’ottimo prodotto e all’ottima capacità relazionale/empatica, si affianca la capacità di capire dove e come ci si può inserire, in quale angolo e con quali tempistiche.
Quante aziende ci sono sono che offrono il tuo stesso prodotto o servizio?
Perché dovrebbero scegliere te, se sul mercato ci sono già altre decine di aziende che stanno soddisfacendo i bisogni di quel cliente?
La risposta è nel piccolo spazio che viene sempre lasciato libero: specializzarsi, restringere il focus, differenziarsi, diventare editori della cultura del proprio saper fare, trovare una nicchia e presidiarla.