Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? chiede Kublai Kan.Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco – ma dalla linea dell’arco che esse formano.Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo.Poi soggiunge: Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa.Polo risponde: Senza pietre non c’è arco.
“In poche righe l’intero problema della progettualità, del modo con cui si creano cose nuove. Il ponte è un insieme di pietre, ma allo stesso tempo non è un insieme di pietre. Ciò che fa di un ponte un ponte è la stabilità, che deriva dall’organizzazione o dall’ordine con cui le pietre sono poste. In questo senso ha ragione Kublai Kan a chiedere che si parli dell’arco e non delle pietre. Ma allo stesso tempo l’arco è la forma, l’ordine, l’organizzazione che si possono imporre agli elementi materiali e si realizza solo in questi. Quindi ha anche ragione Marco Polo. Questa distinzione è all’origine di ogni possibile innovazione.
Innovare significa imporre agli elementi materiali, alle pietre, nuove forme e nuovi ordini. Per creare novità occorre un pensiero che tenga insieme la materia e la forma, la struttura fisica e le funzioni. Occorre sapere molto delle pietre ma anche saper ragionare in modo astratto, alla ricerca di tutti i possibili modi per realizzare l’ordine che rende stabile l’arco di pietre del ponte. Ciò resta vero sia nella innovazione tecnologica, che si occupa di oggetti materiali, sia in quella organizzativa, culturale, sociale. Occorre sapere molto di Kublai Kan e molto di Marco Polo.”
Partiamo da quì.
Il senso comune e la rapida e popolare ascesa di certi strumenti digitali hanno contribuito a diffondere una sorta di scetticismo nel mondo aziendale: Facebook? A chi? Email Marketing? Peggio che andar di notte! Social network? Una perdita di tempo.
Posizioni comprensibili, soprattutto se “queste pietre, questi materiali” vengono lanciati dall’alto, come troppo spesso succede.
Senza strategia, approccio. senza ordine e metodo.
Lo scetticismo nasce giustamente da una mancata proposizione di una visione integrata, coordinata e di ampio e lungo respiro. Ma per “fare il mercato” e non adeguarsi ad esso c’è bisogno di più e c’è bisogno di andare oltre.Il cambiamento è una costante, forse l’unica, nella storia dell’Uomo.
Oggi più che mai, la possibilità di sopravvivenza di una azienda dipende dalla sua capacità di leggere ed interpretare le coordinate del cambiamento.
E cosa ci dicono oggi i mercati? Ci dicono che anche le economie di prodotto si sono trasformate in economie di servizio: ogni prodotto senza una componente di servizio ha scarsa efficacia. Questo vuol dire che le imprese devono ripartire con e da due parole: integrazione e interazione. Un modello di organizzazione che mette al centro le relazioni collaborative e di networking (clienti, fornitori, employee, partner, accademia, istituzioni…) per generare e diffondere valore per essere maggiormente proattivi, dinamici, innovativi, aperti e connessi col mercato.
Il Social Business è proprio questo: tendere verso tale nuovo modello con una trasformazione, non solo degli strumenti, ma anche degli approcci strategici, organizzativi e culturali.
L’intelligenza collettiva di un’impresa diviene effettivo driver di sviluppo solo se inserito un disegno integrato in grado così di capire, pianificare, eseguire e governare i nuovi processi industriali e di mercato. Allora si potrà parlare di rivoluzione digitale, allora si potrà dire di aver sapientemente e strategicamente imposto alle pietre e agli elementi materiali, nuove forme e nuovi ordini.